Ricordi, all'Isolotto... Giochi
Nei primi anni 60, durante i miei pomeriggi di libertà e di gioco all'Isolotto portavo spesso con me il bagaglio di qualche sottile dispiacere, vari erano i motivi; compiti di scuola non fatti, coscienza di bazzicare amici alle volte discutibili; sigarette fumate di nascosto e altri simili intorcinamenti e dubbi tipici dell’ età di passaggio; sensi di colpa che però non mi impedivano di scorrazzare e divertirmi con leggerezza e curiosità dentro quel nuovo mondo dove la mia famiglia era venuta ad abitare nella primavera del 1960, quando avevo 11 anni. La rete di stradine e sentieri asfaltati che si dipanava fra le case dell’ Isolotto erano l'ideale per i giochi d’ allora: cannucciate, ciri bè, tappini abarthizzati, sacchetti di palline in terracotta a una lira l’ una, per giocare a chippe, smurielle o piattelle per boccia e palma, ino ino cavallino, mamma troia e tanti altri.
Cerbottane multiple fino a 8 canne, ricavate da lunghi e sottili tubi in metallo
per lampadari, distanziate da mollette per il bucato, tenute insieme da kilometri
di nastro adesivo e portate in giro con le movenze di marines da films.
.... Anche l’ Argingrosso, d'estate, era luogo di gioco e di scoperta;
quando l'erba alta e tagliente da verde diventava gialla e secca bastava avere
un cartone ondulato sotto il culo a mo’ di slittino per provare l'ebrezza
dello scivolare ininterrottamente per 4 o 5 metri lungo l'argine.
Lungo le rive dell'Arno, all’ altezza dell’ attuale pescaia, quando
l’ acqua era poca per il caldo, affioravano depositi d'argilla liquida,
dove andavamo a sguazzarci per il gusto di lavarsi nella correntina mentre cercavamo
Boghe e Lasche sotto i sassi. Pochi anni dopo nuvole di schiuma fetida avrebbero riempito la vasca della nuova pescaia da poco costruita; la gente si fermava a guardare quello strano fenomeno: l'acqua cadendo ribolliva malata e produceva enormi agglomerati di schiuma che danzavano sul fiume e che nelle giornate di brezza prendeva ad alzarsi, a volare leggera, spesso si vedeva da Via dei Platani; brandelii di schiuma trascinati da correnti d'aria calda, si staccavano dal grosso e salivano in cielo come i palloncini della canzone di Rascel.
L'Arno, ragazzo cresciuto e imprevedibile, dentro i pantaloni corti delle spallette
di Firenze, avrebbe presto detto la sua. Un giorno di novenbre del 66, gonfio
d’ acqua e rabbia, imbizzarrito per i troppi spregi, ci dette una notevole
risciacquata: ci rese in un sol giorno tutto il sudicio ingoiato in silenzio
per anni, venne a mettercello sull'uscio, a riportarlo al legittimo proprietario. il Piccolo Figlio di Nessuno
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