Al Zawahiri, un altro amico americano
di Sabina Morandi - Liberazione
Ai primi posti della lista dei terroristi più ricercati del mondo dall'Fbi
c'è Ayman Al Zawahiri, incriminato per la presunta partecipazione agli
attentati del 1998 contro le ambasciate statunitensi in Tanzania e in Kenya.
Fratello del meno noto Muhammad, che addestrò l'Uck albanese per conto
degli Stati Uniti, secondo il Guardian Al Zawahiri non è solo il vice
di Bin Laden ma, in sostanza, è la mente militare e finanziaria di Al
Qaeda.
E' risaputo infatti che alcuni dei dirottatori dell'11 settembre - come Mohammed
Atta e Khalid al Midhar - erano membri del Jihad islamico di Al Zawahiri che,
fra l'altro, fu implicato nell'assassinio del presidente egiziano Sadat. L'organizzazione
da lui fondata, il Jhiad Islamico Egiziano, ha avuto contatti con il Gruppo
Islamico dell'Egitto che perpetrò il primo attentato al World Trade Center
nel 1993. Infine, secondo un documento redatto dal dipartimento di Stato americano,
è probabilmente la mente del tentato omicidio del presidente egiziano
Mubarak e del massacro di 70 turisti occidentali a Luxor, nel 1997. Eppure,
malgrado tutto ciò, Al Zawahiri ha continuato a fare avanti e indietro
con gli Stati Uniti per tutti gli anni Novanta, arrivando perfino a ottenere
l'ambitissima Green Card, un permesso di residenza che viene negato anche ha
chi non ha carichi pendenti. Come è possibile?
Il fatto è che Al Zawahiri aveva amici influenti. Uno di questi è
certamente Ali Mohamed, egiziano di nascita e naturalizzato americano, che divenne
in seguito ufficiale delle Forze speciali dell'esercito Usa e informatore dell'Fbi.
Secondo il periodico americano di analisi del terrorismo Intelwire: «L'Fbi
conosceva molto bene Ali Mohamed, e l'aveva interrogato più volte»,
mentre per News & Observer era sicuramente una «fonte attiva per l'Fbi
e un agente doppiogiochista». Il Wall Street Journal sottolinea poi che
la Cia era perfettamente al corrente del ruolo di collegamento con Al Qaeda
svolto da Mohammed che «per cinque anni ha fatto la spola fra Stati Uniti
e Afghanistan» probabilmente per conto dell'Agenzia.
Malgrado il suo presunto coinvolgimento con gli attentati del 1998, Mohammed
uscì indenne dal processo e continuò a fare da tramite con Al
Zawahiri mentre questi si dava da fare per organizzare negli Stati Uniti una
rete fra le cellule di Al Qaeda. Per quale motivo? Secondo Yossef Bodansky,
ufficiale dell'antiterrorismo e veterano dei servizi segreti americani, nonché
ex consulente superiore presso i dipartimenti di Stato e della Difesa e attualmente
responsabile della task force anti-terrorismo del Congresso, la spiegazione
risiede negli interessi statunitensi nei Balcani, una strategia cominciata negli
anni Novanta e tutt'ora in corso.
Nel rapporto Bodansky viene dato ampio risalto alla stretta connessione fra
al Zawahiri e la Cia - connessione che aveva allarmato non poco il governo egiziano,
suscitando le proteste ufficiali del presidente Mubarak. Secondo Bodansky -
citato nel libro di Nafeez Mossaddeq Ahmed "Guerra alla verità",
(appena pubblicato da Fazi editore) - nel 1997 la Cia si era offerta di finanziare
Al Qaeda con una cifra che ammontava a cinquanta milioni di dollari, usando
come intermediario prima Mohammed e poi direttamente Al Zawahiri, «con
la semplice condizione che i mujaheddin di Al Qaeda si astenessero dall'attaccare
le forze Usa nel Balcani». In cambio avrebbero avuto carta bianca contro
l'odiato governo laico di Mubarak. L'accordo si concluse? Secondo Amhed si concluse
eccome, tanto è vero che, mentre le forze statunitensi nei Balcani continuavano
a essere risparmiate dagli attacchi, i terroristi si scagliarono contro i turisti
di Luxor. L'assordante silenzio dell'amministrazione Clinton dopo il massacro
«venne interpretato da Al Qaeda come un sostanziale via libera».
Secondo Amhed è abbastanza probabile che il patto segreto sia restato
in vigore anche dopo l'11 settembre - con il terrorismo che ha continuato a
risparmiare gli interessi Usa nei Balcani e nel Caucaso. Perché scandalizzarsi?
Del resto sia la "non belligeranza" che l'impiego di Al Zawahiri come
informatore e intermediario di alto livello da parte dei servizi occidentali
era proseguita anche dopo gli attentati del '98 alle ambasciate statunitensi
in Africa. Non è quindi tanto improbabile che, come sostiene Ahmed, la
relazione particolare con il nemico pubblico numero due, sia tutt'ora in corso.
Sabina Morandi - Liberazione