La fabbrica delle notizie che non disturba mai il governo
- di Sebastiano Messina
Cosa sta succedendo alla tv italiana? Ha ragione Francesco Rutelli, quando
accusa il centro-destra di aver "messo sotto controllo politico l'informazione
televisiva" e di star trasformando la democrazia italiana "in una
oligarchia mediatica dominata dal monopolio berlusconiano"?
Alla vigilia della delicatissima battaglia delle europee di primavera - e mentre
il governo spinge verso il voto finale, con tutte le sue forze, la contestatissima
legge Gasparri - la questione dell'equilibrio dell'informazione torna al centro
dello scontro politico. Con una novità non di poco conto: per la prima
volta nella sua storia, il principale telegiornale italiano - il Tg1 di Clemente
Mimun ? è contestato sia dalla maggioranza che dall'opposizione, bersagliato
da attacchi convergenti, accusato dall'Udc di essere diventato "un monumento
al servilismo" e dai Ds di praticare addirittura "un giornalismo marchettaro".
Mimun ha risposto con querele e richieste di danni. Ma ormai non si tratta più
di casi isolati, di polemiche personali, di episodi sporadici. Più del
fondamentalismo militante del Tg4, del cerchiobottismo apparente del Tg5, delle
romantiche divagazioni del Tg2, del clima da riserva indiana del Tg3 e della
furba latitanza del Tg di Italia Uno, la vera novità dell'anno terzo
del berlusconismo è proprio la normalizzazione del Tg1. Una testata che
non è mai stata antigovernativa, certo, ma che oggi è diventata
il luogo dove la politica viene metodicamente sminuzzata, frullata e bollita
per cucinare ogni giorno un minestrone dolciastro dall'effetto soporifero, un
bollettino perennemente ottimista e fiducioso nelle magnifiche sorti, e progressive,
del governo Berlusconi.
- Pubblicità - Mettiamo, per esempio, che il governatore della Banca
d'Italia accusi il governo di aver peggiorato i conti pubblici, di aver fatto
salire il deficit statale, di non aver ridotto il debito. Come si fa a ignorare
una così autorevole bacchettata? Nessun problema: basta trovarci il lato
positivo. Il Tg1 di venerdì 31 ottobre presenta la vicenda con un titolo
insapore: "A confronto sull'economia". Poi, nel sommario, il conduttore
spiega con voce profonda: "Fazio: risanamento e riforme perché l'Italia
riparta". Tutto qui? No. Almeno un accenno, ai conti pubblici, bisogna
farlo. Così: "Sui conti pubblici, dice Tremonti, andiamo meglio
di Francia e Germania". Del gelo tra i due, della "fredda stretta
di mano" su cui titola il Tg5, non c'è traccia nel sommario del
Tg1.
Insomma, l'allarme di Fazio diventa un incoraggiamento al governo e il ministro
dell'Economia tira già le conclusioni: siamo tra i migliori d'Europa.
Un piccolo capolavoro..
Mettiamo che il centro-sinistra vinca le elezioni in Trentino Alto Adige. Come
si fa a nascondere la notizia? Semplice: la si elimina dai titoli e dal sommario,
riducendola a una notiziola. Mettiamo, infine, che la riforma dei tribunali
minorili venga clamorosamente affondata in Parlamento. Come si fa, di fronte
a una simile sconfitta, ad addolcirne l'impatto? Basta usare le parole giuste:
e così, ieri sera, il Tg1 titolava: "Confronto nella Cdl".
Come se invece di un agguato dei franchi tiratori ci fosse stato un convegno
di accademici.
E' un lavoro di forbici e colla, il cui esempio massimo rimangono l'aggiunta
di un uditorio posticcio al discorso del presidente del Consiglio all'Onu ?
meritoriamente smascherato da "Striscia" - e il taglio al sonoro di
Berlusconi che prometteva all'eurodeputato tedesco Schulz un posto di kapò
in un film sui nazisti. Unico telegiornale europeo ? insieme a quello svedese,
per essere precisi ? a negare ai suoi ascoltatori l'audio di quella gaffe, il
Tg1 ricevette allora gli ironici complimenti del Financial Times: "Il telegiornale
sovietico di Breznev non avrebbe saputo fare di meglio".
Tagliare e cucire, troncare e sopire. Non è solo Berlusconi, l'oggetto
delle premurose attenzioni del Tg1. Quando Bossi straparla, per dire, si dà
il minimo indispensabile, possibilmente la frase meno spinosa, quella più
commestibile. Mercoledì 22 ottobre, il giorno in cui il ministro leghista
definisce il mandato di cattura europeo "criminale", frutto nientemeno
che di una "follia nazista", il Tg1 cancella queste parole dal suo
servizio, e già che c'è anche la durissima risposta del segretario
dell'Udc Marco Follini: "I ragionamenti, se vogliamo generosamente chiamarli
così, dell'onorevole Bossi?". La sera stessa, il partito degli ex
dc ? quelli che un tempo erano gli "editori di riferimento" del Tg1
? bolla il telegiornale di Mimun come "un monumento al servilismo".
Ma il vero segno della nuova stagione ? più del brusco ridimensionamento
dello spazio per l'opposizione - è nella mutazione genetica del giornalismo
televisivo. Una volta i telegiornali intervistavano i politici: il giornalista
faceva delle domande, e il ministro (o il segretario di partito) rispondeva.
Oggi l'intervista è scomparsa dal Tg1: è un lusso concesso solo
al direttore. Il contraddittorio è stato abolito. I cronisti sanno che
non devono fare domande a nessuno. "Quando c'è da far parlare un
politico, per esempio Schifani ? racconta un cronista parlamentare - parte una
sola persona: il telecineoperatore, l'uomo della telecamera. A fare la domanda
ci pensa il suo addetto stampa, Edy Benedetti. E noi mandiamo in onda la risposta
del capogruppo al suo portavoce". Ai ministri sta bene così. Non
a tutti, però. L'ultima volta che Gianni Alemanno ha visto arrivare il
telecineoperatore ha chiesto: "E il giornalista, dov'è?". "Ma
lei sa già tutto, mi hanno detto?" ha risposto l'altro, imbarazzatissimo.
"No, io non so niente. E non mi piace farmi le interviste da solo"
è sbottato il ministro.
Sono molti, i giornalisti del Tg1 ai quali non piace questa riedizione tardiva
del collateralismo militante. Ma nulla possono, contro il metodo blindato del
"panino". Cos'è il "panino"? E' il contrario del
"bidone", che era il sistema adottato dai telegiornali dell'Ulivo:
ogni giorno un cronista seguiva il centro-sinistra e un altro si occupava del
centro-destra, poi a fine giornata ciascuno dei due amalgamava le notizie sul
suo schieramento (in un "bidone", come fu subito soprannominato questo
contenitore dalla forma elastica) e il Tg mandava in onda i due servizi affiancati.
Con l'arrivo di Mimun l'era del "bidone" è finita. Il nuovo
direttore ha voluto il "panino", ovvero una specialissima nota politica
nella quale il ruolo del pane e quello del companatico sono assegnati in partenza:
la prima fetta di pane spetta al governo, in mezzo c'è la fettina di
mortadella dell'opposizione (che in genere "protesta", "attacca",
"contesta" o si produce in altre attività negative) e poi arriva,
puntualmente, la seconda fetta di pane, quella della maggioranza. Se manca il
governo, poco male: l'ultima parola deve toccare comunque al centro-destra,
anzi a Forza Italia, ovvero a Schifani o a Bondi.
Certo, i giornalisti non sono obbligati a rispettare questa direttiva. Possono
anche dare l'ultima parola a un esponente dell'opposizione. Però poi
la pagano cara. Il cdr ricorda il caso di Andrea Montanari, che un giorno doveva
montare una risposta del diessino Calvi all'avvocato Taormina. Lui seguì
la logica, invece di accogliere il ripetuto invito a invertire l'ordine delle
dichiarazioni. "Non posso dare prima la risposta e poi la domanda"
spiegò, testardo. Risultato: il servizio venne sfilato dall'edizione
delle 20 e mandato in onda solo a mezzanotte. Quanto a Montanari, quel servizio
se lo ricorderà per un pezzo perché da allora non gliene hanno
più affidato uno, neanche a Pasqua o a Ferragosto.
Il dissenso nella maggioranza è sfumato e addolcito. Le proteste dell'opposizione
sono diventate una sfoglia sottile nel panino quotidiano. C'era ancora uno spazio
incontrollato, nel Tg1. Relegato dopo la mezzanotte, tra Vespa e Marzullo, ma
c'era: la rassegna stampa. Alla fine del telegiornale, ogni sera un ospite diverso
era invitato a commentare i giornali dell'indomani. Capitava che ai titoli dei
quotidiani, qualche volta severi con Berlusconi, si aggiungesse anche l'opinione
dell'ospite, incidentalmente non filogovernativo. Non poteva durare. All'inizio
dell'anno la rassegna stampa è stata ribattezzata "Non solo Italia",
le prime pagine sono state ridotte a una sola (quella del giornale dell'ospite)
e le domande rigorosamente limitate alle notizie dall'estero. Poi, a settembre,
la rassegna è stata definitivamente abolita. Niente più giornali
irriverenti, niente più ospiti impertinenti.
Per una singolarissima coincidenza, la stessa sorte ? nello stesso momento ?
è toccata alle interviste ai direttori dei giornali che erano diventare
un appuntamento fisso del Gr3 delle 8,45. Ogni mattina, a turno, i giornalisti
che guidano i sette maggiori quotidiani italiani venivano interpellati dal caporedattore
centrale Licia Conte sulle notizie del giorno. Poi, un giorno, il nuovo direttore
del Giornale Radio, Bruno Socillo, convoca la Conte. "Bisognerebbe allargare
la rosa da sette a quattordici direttori", dice. Lei esegue, però
non basta. "Bisognerebbe registrarle prima, queste interviste, invece di
mandarle in diretta". I direttori si rifiutano. "Bisognerebbe delimitare
il tema delle domande e delle risposte" insiste Socillo. Non funziona:
evidentemente si parla ancora troppo di Berlusconi, in quelle telefonate alla
radio. Insomma, da settembre i direttori dei giornali non vengono più
chiamati dal Gr3. La rubrica è "sospesa". Fino a nuovo ordine.
E' in questo campo da gioco desertificato, è con questa informazione
militarizzata, che si combatteranno le prossime sfide tra la Casa delle Libertà
e l'Ulivo. Non si sa come finirà: quello che è certo è
che il suo derby decisivo, Berlusconi lo giocherà in casa.
(6 novembre 2003 )