Se Cristo potesse risorgere a Bagdad "... E quelli dissero: Signore, ecco qui due spade. Ed egli: Basta!".
Verrebbe naturale per chi scrive su un giornale nel giorno della Pasqua cristiana
affrontare il tema della passione, della morte e della resurrezione di Gesù
di Nazareth, della preghiera nell'orto del Getsemani, della disperazione del
Figlio dell'uomo quando si sente abbandonato da Dio, delle parole misteriose
che egli rivolge ai suoi discepoli quando li esorta ad armarsi, lui che ha sempre
predicato la pace, la non violenza e l'amore anche per chi ti colpisce e ti
uccide. Secondo il Vangelo di Luca fu durante l'ultima cena di Gesù con
i suoi discepoli: "Ma adesso chi ha una borsa la prenda e così la
bisaccia e chi non ha spada venda il suo mantello per comprarla... E quelli
dissero: Signore, ecco qui due spade. Ed egli: Basta!". Quelle terre sono sconvolte dall'odio, devastate dalle stragi, disseminate di rovine. Odio chiama odio, sangue chiama sangue, i combattenti uccidono invocando il nome del loro dio, che non è più l'Unico da quando ciascuna delle parti in guerra ha scritto quel nome sulla propria bandiera. Proprio nei giorni della Pasqua questo scempio è arrivato al culmine, la violenza ha scacciato la pietà e sembra che il Figlio dell'uomo non debba mai più risorgere dal sepolcro dove il suo corpo flagellato fu riposto. Di questo bisogna scrivere oggi e del perché l'odio ha invaso il mondo e la Bestia ha assunto le sembianza dell'Uomo. "L'età dell'odio" è un libro appena uscito in Italia. L'ha scritto una cinese che si chiama Amy Chua e insegna alla Law School della Yale University. Umberto Galimberti l'ha ampiamente recensito su questo giornale, ma ci ritorno su perché la sua lettura è terribilmente attuale. Nell'enorme folla di libri che da tre anni si accatastano per spiegarci con tesi e analisi diverse e contrapposte perché siamo arrivati a questa generale follia, Amy Chua è la sola che, distaccandosi dai fatti che avvengono quotidianamente sotto i nostri occhi, ha saputo entrarvi dentro meglio d'ogni altro arrivando alla loro radice e osservando le cause che li hanno determinati. Le cause sono chiarissime. Scrive Galimberti: "Il mercato concentra la
ricchezza, spesso stratosferica, nelle mani d'una minoranza economicamente dominante,
mentre la democrazia accresce il potere politico della maggioranza impoverita.
In queste circostanze l'introduzione della democrazia innesca un etno-nazionalismo
dalle potenzialità catastrofiche che scaglia la maggioranza autoctona,
facilmente istigata da politici opportunisti, contro la minoranza facoltosa
e detestata". E scrive Amy Chua: "Negli ultimi vent'anni abbiamo promosso
con energia nel mondo intero sia l'apertura liberista al mercato sia la democratizzazione.
Così facendo ci siamo tirati addosso l'ira dei dannati". Questo è anche il motivo che rende precaria la sorte dei regimi arabi
moderati e amici dell'Occidente, gli Emirati, l'Arabia Saudita, l'Egitto e perfino
il Marocco e gli altri Paesi del Maghreb. Con una differenza per altro essenziale
che rende ancora più drammatico il problema mediorientale: proprio lì,
in Iraq, in Iran, in Arabia, negli Emirati, giacciono nel sottosuolo gli otto
decimi delle riserve petrolifere mondiali. La maggioranza povera, l'esercito
dei dannati, per usare il linguaggio di Amy Chua, ha individuato un capro espiatorio
e un tesoro inestimabile che in qualche modo gli appartiene. Ma è pur
vero che lasciarlo in quelle mani equivarrebbe a una rivoluzione planetaria
dei rapporti di forza. La trappola irachena è questa: non ci si può
né restare impigliati né uscirne. Non è il Vietnam, è
molto peggio del Vietnam. Sotto la pressione dei partiti socialdemocratici, delle leghe contadine, dei sindacati operai e della borghesia liberale nacque un capitalismo sociale che diffuse più rapidamente i benefici derivanti dal profitto e dall'accumulazione della ricchezza. I "dannati" non sono scomparsi, ma non sono stati abbandonati a se stessi e il loro perimetro si è gradualmente ristretto anche se, proprio dal 1989 in poi, il "pensiero unico" liberista imperversante in tutto l'Occidente ha determinato un'inversione di tendenza molto preoccupante, un aumento degli indici di povertà e un indebolimento pericoloso dello Stato sociale e della redistribuzione della ricchezza. Questa però è la storia dell'Occidente. Purtroppo questa storia non è stata esportata. L'impero americano ha seguito un modello del tutto diverso. Ha fatto sognare i miracoli del mercato e la democrazia di massa in paesi dove lo Stato di diritto non era mai esistito, dove la religione era totalizzante quanto l'autorità civile era evanescente e dove i tassi di natalità delle masse povere erano elevatissimi. Per evitare che la conflittualità sociale desse esiti catastrofici, la democrazia è stata manipolata in modo da favorire dittature e gruppi locali resi partecipi della ricchezza. La storia politica ed economica del Sud America, dell'Africa, del Medio Oriente ne fornisce una plastica rappresentazione, iniziata dal colonialismo europeo (anglofrancese soprattutto) e proseguita con fresca irruenza dagli Stati Uniti, a partire da Theodore Roosevelt in poi. Bush Junior ne rappresenta oggi il concentrato insieme alla sua corte di neocon, che ai suoi Cheney, ai suoi Rumsfeld, alla sua Condi Rice, ma è stato soltanto l'ultimo di una lunga serie. Qualcuno si stupisce di quanto sia accaduto in questi giorni? Qualcuno si scandalizza
delle parole di Giovanni Paolo che ricorda continuamente i deboli e gli oppressi
della terra? Qualcuno pensa che quelle parole e le parole dei pacifisti di buona
fede siano belle utopie spazzate via dall'intelligenza della realpolitik, mentre
invece proprio quelle parole contengono una saggezza politica che è la
sola a poter portare l'Occidente fuori dalla trappola mediorientale e alleviare
la condizione dei "dannati"? Occorre dunque, come primissima cosa, che cessi il mattatoio, che i soldati
americani smettano di sparare nel mucchio come sta accadendo a Falluja e in
gran parte delle città irachene. Questo non fermerà il terrorismo
di Al Qaeda ma indebolirà la spinta ribellistica delle milizie sciite
di Al Sadr e darà respiro agli iracheni meno propensi alla violenza che
forse rappresentano la maggioranza d'una popolazione così duramente provata.
L'ordine pubblico deve essere negoziato, come hanno fatto i nostri bravi militari
a Nassiriya dopo aver dovuto eseguire l'ordine dissennato del comando inglese
di Bassora, a sua volta indirizzato dal comando supremo Usa in Qatar, di sgombrare
con la forza i tre ponti sul Tigri. Un episodio del genere non dovrebbe mai
più essere ripetuto da un contingente militare che è stato proclamato
non belligerante e umanitario. |