IL giorno dopo la cattura di Saddam Hussein, il commento di
Giulietto Chiesa
FESTA
GRANDE
Giulietto
Chiesa, il manifesto - 15 dicembre
Faremo festa,
anche noi, come il personaggio di Michael Moore che, in una birreria
dell'America profonda, esulta, sbronzo, vedendo e rivedendo le immagini di Fox
Tv, quella di Murdhoch, dei cadaveri di Husay e Qusay. Il papà lo hanno preso
vivo. Fatti e rifatti i conti, anche in vista della campagna elettorale
americana, hanno concluso che era meglio non ammazzarlo subito, come i suoi
figli, intanto non avrà molto spazio per parlare, per raccontare la sua
versione dei fatti. Il circo mediatico, con i suoi saltimbanchi, l'hanno in
mano loro, i vincitori, e i numeri che contano li decide l'imperatore.
Più o meno
come l'altro «sanguinario» dittatore, quel Milosevic che indice le elezioni, e
le perde, per farsi poi arrestare. E, quando comincia a parlare, si spengono i
riflettori e le telecamere.
Dunque grandi
festeggiamenti per questa ennesima vittoria dell'impero. George Bush potrà
adesso tirare fuori di nuovo lo striscione - missione compiuta - che aveva
dovuto arrotolare in tutta fretta negli ultimi mesi. E assisteremo agli osanna
dei maggiordomi di tutto il pianeta, Italia inclusa, per lo scampato pericolo.
Finalmente il mostro è in gabbia e forse, se lo tratteremo come i 600 e rotti
di Guantanamo Bay, ci dirà anche dove - diavolo di un Saddam - ha nascosto le
sue armi di distruzione di massa.
E ci dirà
anche, forse, quanti e quali contatti ha avuto con il perfido Chirac e
l'abominevole Schroeder.
Fine della
storia. Il tiranno è stato abbattuto, come le sue statue, dai portatori di libertà,
il problema è risolto.
Ma non la
minaccia. Perché non crediate che d'ora in poi tutto sarà tranquillo. I
vincitori ci hanno già avvertito che la guerra che hanno cominciato -
ufficialmente - l'11 settembre del 2001 sarà lunga una cinquantina d'anni.
E dobbiamo
credergli, almeno su questo. E' la loro intenzione e faranno di tutto per
attuarla. L'unica variazione sul tema è che, date le circostanze irachene, e
dato che siamo in un anno elettorale, nei prossimi mesi ci ammanniranno una
serie di buone notizie. Buone in tutte le direzioni, buone anche in economia.
Questa di oggi è la prima della serie. L'imperatore vuole essere rieletto senza essere costretto a truccare le carte, come Putin. E senza gli imbrogli che organizzò in Florida, con l'aiuto del fratello e dei compari del Pnac (Project for the New American Century) per portare via la Casa bianca al legittimo presidente Al Gore.
L'8 novembre,
o forse prima, il ballo ricomincerà. Altrimenti perché mai alti funzionari del
Pentagono, che lavorano per Douglas Feith, sottosegretario alla difesa per la
pianificazione (delle guerra) si sarebbero incontrati questa estate,
segretamente, a più riprese, con personaggi iraniani dalla reputazione analoga
a quella di Chalabi?
L'unico
problema è che, con ogni probabilità, la guerra in Iraq continuerà anche senza
Saddam. E non ci resterà che - da collezionisti di ricordi come siamo - tornare
a riguardare l'album della famiglia del Pnac, con Ramsfield che abbraccia
Saddam Hussein; le chiavi di Detroit consegnategli solennemente, le telefonate
di Reagan a Saddam con l'ordine di aumentare i bombardamenti sull'Iran; la
lista della spesa del capo della Cia, Casey, che riforniva Saddam di armi
chimiche, eccetera eccetera.
Sarà un bel
natale, illuminato dai bagliori delle bombe.